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UN’ALBA DA MIA MADRE Dal balcone della mia casa, 17 marzo attorno alle sei Vito Teti
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Data: 31/12/2008 - Anno: 14 - Numero: 3 - Pagina: 4 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

ROSA DI MAGGIO

Letture: 1082               AUTORE: Vincenzo Squillacioti (Altri articoli dell'autore)        

Quel giorno ne erano morti nove, tutti di spagnola, e non tutti di età avanzata. Anche due bambini erano volati al cielo. Nelle botteghe dei falegnami cominciava ormai a scarseggiare il legname per le bare, e dal Giròne e da Cerasìa passavano in continuazione sparute e tristi squadre che accompagnavano parenti al cimitero e altre che rientravano.
All’imbrunire si mosse dal chjanu de carra uno strano convoglio: i buoi di Pettinèhr1u trainavano un carro su cui c’era la bara con l’ultima persona morta nella giornata, una donna che aveva pianto la morte di due giovani figli sul Carso, senza poter bagnare con le sue lacrime i loro corpi. Sul carro anche sei uomini, che a Granèli avrebbero prelevato la bara per portarla in spalla sino al cimitero. Con loro anche Micu Testagròssa che Cenzu ’e Pettìnèhr1u avrebbe portato col suo carro sino alla stazione ferroviaria, dove avrebbe preso il treno per Napoli, e poi il vapore per l’Argentina, con la sola compagnia di una grossa e sgangherata valigia ch’era stata di suo padre in ben tre viaggi tra Badolato e Buenos Aires e ritorno. Ad accompagnarlo e a confortarlo nel lungo viaggio anche il ricordo e l’amore della moglie, la bella Cuncètta a Longa, che rimaneva a casa ad aspettarlo, sola, perchè i genitori di entrambi se n’erano già andati con la spagnola, e figli non ce n’erano, neanche in vista, perchè i due si erano sposati da meno di un mese.
A Mingiàno Micu si girò verso il paese, e vide con tristezza che neanche un fazzoletto sventolava a salutarlo: troppa gente era impegnata a piangere i propri morti. Anche Concetta era rientrata a casa, a cominciare la lunga attesa del marito di ritorno dalla lontana America. Alla curva ’e Natàla l’ultimo sguardo all’indietro, verso il paese: nessuno. Un nodo alla gola, e le guance bagnate da due grosse lacrime.
Il lavoro non mancava alla giovane sposa. Non avevano terreni in proprietà da coltivare, ma in tanti facevano a gara per avere quella donna giovane e forte nel lavoro dei campi. Lei scelse di diventare salariata fissa alle dipendenze del barone, e fu una scelta fortunata perchè riceveva mensilmente il suo pur modesto salario in denaro, e nell’azienda agricola baronale poteva disporre, senza difficoltà, di frutti, di ortaggi ed anche di cereali, persino di olio, a saperci fare. In ciò le dava una mano, frequente e generosa, il guardiano dell’azienda, salariato fisso anche lui, un giovine alto, forte e di bell’aspetto, ed anche cordiale, anzi affettuoso.
L’insperato benessere di cui Concetta godeva contribuì non poco ad alleggerire il peso per l’assenza del marito che, non sapendo leggere nè scrivere, mandava a sua moglie rare lettere da oltreoceano. Anche Andrea, il guardiano, con le sue particolari attenzioni l’aiutava ad aumentare la distanza tra Badolato ed il campo di Entre Rio dove Micu Testagrossa spendeva la sua vita al sevizio di un armento di oltre mille capi.
Di domenica Concetta rimaneva a casa e trascorreva la giornata andando a Messa, preparandosi qualche pietanza calda, rassettando l’unica stanza e il salàru. Una domenica, però, di buon’ora si presentò a casa sua il guardiano per dirle che dovevano scendere in marina, alla villa del barone, per un lavoro imprevisto ed urgente. Sarebbero scesi con il carro del padrone, lui e lei soltanto chè non cbisogno di altra manodopera quel giorno.
La giornata volò via come un lampo, e si fece subito buio, senza la possibilità di far ritorno in paese perchè il carro era andato via già dal mattino. Fu giocoforza, quindi, rimanere a dormire in villa, in un magazzino nel quale c’era sempre pronto qualche pagliericcio per l’emergenza. L’indomani mattina, poi, si era già sul posto di lavoro.
Le premesse c’erano tutte; le condizioni pure; nè mancava il desiderio, sia pure malaccortamente celato da parte di Concetta, perchè donna e perchè sposata. L’incontro avvenne, totale e con trasporto. E fu l’inizio di un dolce calvario, tra incontri notturni e circospetti, finzioni e bugie, momenti d’estasi e di sofferte rinunce.
Maggio è stato anche quell’anno una fantastica esplosione di fiori, ma Concetta non ne coglieva la bellezza, intenta unicamente a nascondere, con ampio vestiario e con ricercate e sofferenti posture. l’aumentata volumetria del grembo. Di comune accordo avevano deciso che la creatura si sarebbe chiamata Rosa, se femmina e se... Quando furtivamente riuscivano a scambiarsi qualche parola, convenivano soltanto sulla necessità di dover prendere una decisione, ma non sapevano quale, e rinviavano ogni volta al successivo sperato incontro. La gente intanto cominciava a mormorare, e Micu dall’Argentina non scriveva più. Di una sola cosa era convinta Concetta: la morte piuttosto che il disonore. Rimaneva sempre la possibilità del ricorso a comare Caternùzza, ma chissà quando sarebbe uscita di galera dove si trovava per aver provocato con intrugli più di un aborto. L’altra magàra del paese, Ccicca ’e Ntoni ’e Pàvula, non era persona alla quale affidare un problema così grosso e pene così grandi. Intanto i giorni passavano.
Un pomeriggio, appena rientrata dal lavoro, Concetta mise sulla testa il barile e si recò, come altre volte, a prendere acqua alla fontana di Santu Nicòla u Vecchju, giù nella vallata della fiumara della Provvidenza. Riempito il barile lo alzò con le braccia e se lo pose come potè sulla testa, ma lo sforzo fisico fu tale da farla vacillare e quindi cadere per terra, con il pesante barile sul grembo. Forti dolori al basso ventre, sangue sul terreno, un flebile vagito... e Rosa venne anzitempo alla luce, l’ultimo giorno del mese di maggio, sotto un fico attraversato dai raggi dorati del sole del tramonto.
Più forte dell’emozione e dell’amore fu per la donna la paura della gente, del disonore. Avvolse Rosa nel largo grembiule e la infilò nel cunicolo semiaperto della sorgente. Poi, sfinita, s’allontanò dalla fontana e fece ritorno a casa, dove si chiuse a chiave e pianse in libertà.

*****
Quando uscì dal carcere Concetta trovò Andrea ad aspettarla, per cominciare insieme una nuova vita, alla luce del sole, con la speranza che la loro piccola Rosa dal cielo li perdonasse e li aiutasse a superare le difficoltà e le sofferenze di un difficile cammino.



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